mercoledì 9 giugno 2010

SAD EYED LADY OF THE LOWLANDS


Da adolescente sono sempre stato combattuto tra il frequentare persone più grandi di me, oppure i miei coetanei.

Sarà stata la curiosità, la voglia di crescere in fretta, oppure (e più probabile) il fatto che potevo farmi scorrazzare in macchina per tutta la provincia.

E non solo.

Parte delle vacanze estive le trascorrevo nel paese natale di mia madre, a casa dei miei zii.
Mio cugino invece che partire con loro per mete europee, rimaneva a casa.

Una macchina a disposizione e una patente.

Tra le varie uscite balorde, ricordo che una sera partimmo in direzione Bibione, credo di non aver neppure avvisato i miei genitori del fatto che avrei dormito fuori casa.

Forse feci una telefonata da una cabina, non ricordo.

Dopo una pizza con amici, la sera finimmo in discoteca, mi sembra si chiamasse Desideria, chissà se esiste ancora.

La discoteca scoprii essere frequentata anche da miei compaesani, mi ritrovai così di fronte uno dei miei sogni adolescenziali.

LEI.

Vincere la timidezza è semplice se sei distante da casa, per noi ragazzi di paese è così.

Ricordo gli occhi azzurri, una massa di capelli selvaggi, le labbra carnose.
Ricordo di essere riuscito a parlarci
Ricordo poi anche tante pacche sulle spalle degli amici a fine serata.

Si perché, a una certa età, sei degno di ammirazione anche solo per averci parlato, con una bella ragazza.
Bastava poco.

La sera dormii vestito sul freddo pavimento di una cucina, a farmi da cuscino una maglietta.
In quell’appartamento, quella notte, dormimmo in una decina.

Sempre meglio della spiaggia o dell'automobile.

Mi svegliai indolenzito, pieno di dolori da tutte le parti, ma con il sorriso di chi andava a cercare quella ragazza.

La sera prima mi aveva dato appuntamento in spiaggia e io non stavo nella pelle.

Dopo una frugale colazione al bar sotto l'appartamento, mi incamminai.

L'immagine di un ragazzo, sotto il sole di agosto, vestito con pantaloni corti, t-shirt e ai piedi un paio di anfibi, che vaga per la spiaggia di Bibione, mi ha accompagnato per tanto tempo.

E' l'immagine di una cieca determinazione?

Non credo fosse realmente determinazione, oppure l'ambizione di chiedere l'impossibile, sicuramente non era l'orgoglio di raccontare agli amici che l'avevo vista.

Cosa ci avrei guadagnato?

Ad ogni modo non trovai mai il luogo dell'appuntamento.

A volte è semplicemente l'ignoranza che ci fa vagare nella sabbia con un miraggio negli occhi.

Quel pizzico di follia, mista a consapevole ignoranza e stupore, è una delle poche cose che riesco ancora a tenere stretto della mia adolescenza.
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Ascoltando:
Bob Dylan, Blonde on Blonde, 1966

lunedì 24 maggio 2010

A TOUCHING DISPLAY

E' di qualche giorno fa il comunicato dell'ennesimo giornalista che decide di lasciare la televisione.

Nell'ultima settimana, dopo Michele Santoro, anche una giornalista del primo canale RAI ha deciso di ritagliarsi un po' di dignità nella sua carriera.

Come al solito chi da casa si cerca di informare, riesce anche a seguire il filo logico dei suddetti avvenimenti, invece chi si limita a fagocitare passivamente tutto ciò che passa al convento, non si accorgerà neppure della mancanza.

La televisione lentamente muore, anche grazie a scelte difficili di paladini come questi.

Per la prima volta finalmente riesco a cogliere il declino di questo fantastico mezzo che aveva innumerevoli potenzialità, ma che ha deciso di piegarsi alle logiche del mondo reale.

Un scatola piena di colori e suoni, che mi incantava da piccolo facendomi sognare.

Per un ragazzino come me di quartiere, che aveva un minuscolo francobollo di erba per giocare a calcio, la televisione era un ottimo diversivo nelle giornate di avverse condizioni atmosferiche.

Premendo il gigantesco pulsante rosso, fuoriuscivano robot, città post nucleari, lottatori assetati di sangue e supermaxieroi.

Il Cavaliere acquistava pacchetti mediatici ancora con il fiocco sopra, incurante del loro contenuto e del rispettivo ritorno economico, tutto era nuovo e avrebbe fatto odiens.

Soprattutto costava poco.

Lentamente il "payback" ha aggredito tutto nella società contemporanea, erodendo causticamente anche il tubo catodico.

Ma la massimizzazione del fatturato non basta, è necessario filtrare le informazioni, omologare le trasmissioni per omologare il pubblico.

Se ne rischierebbe il risveglio.

Trasmissioni dall'alto guadagno come Annozero hanno così cominciato a tremare, fino alla chiusura annunciata pochi giorni fa.

La televisione è vecchia e serve per cullare il sonno di chi non vuole svegliarsi.

Caro schermo scintillante pieno di nani, fate, maghi e pianure immacolate, ho mandato in tintoria il mio miglior abito.
Sono certo che vivrò abbastanza per partecipare al tuo funerale, sarò elegantissimo per farti onore.

Ti accenderò solo per vedere brevemente il monoscopio.
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Ascoltando:
Wire, 154, 1979

lunedì 17 maggio 2010

BOY WITH A COIN

Riguardo la crisi, dai primi cedimenti nel 2008 ad oggi, è stato detto di tutto e di più, le mie poche righe non aggiungeranno nulla.

Questo post, allo stesso modo del resto del blog, è un punto di vista dell’uomo della strada.

Pochi giorni fa ho sottratto dalla biblioteca della mia ragazza “Scritti Corsari” di Pier Paolo Pasolini.
La rilettura oggi, di quella raccolta di articoli che lo scrittore pubblicava tra il 1973 e il 1975, a tratti mi ha indignato.

Nonostante quelle parole siano distanti più di trent’anni, sono violente come uno schiaffo, colpiscono perché sembrano parole cadute nel vento, come se nessuno le avesse mai pronunciate, scritte.

Invece l’inchiostro è ancora fresco.

La scoperta di Pasolini per me è relativamente recente, i miei genitori me lo avevano descritto sempre come un personaggio deviato, strano, mentre mio zio materno lo ha sempre adorato per la poetica produzione friulana.

E’ solo leggendolo oggi, che si rende evidente conto quanto il suo sia stato un omicidio politico, inscrivibile all’interno della strategia della tensione.

Tutto quello che sono riuscito a cogliere dalla lettura dei suoi scritti, dall’ascolto delle sue interviste rilasciate per la televisione, ha illuminato la mia visione riguardo la società contemporanea.

Se alcuni poteri e cambiamenti stavano trasformando il tessuto sociale mentre Pasolini era ancora in vita, altri fenomeni possiamo invece dire che li abbia anticipati, addirittura previsti con uno sbalorditivo anticipo.

Il vuoto della società contadina che attendeva di essere riempito, descritto spesso da lui negli “Scritti corsari”, è stato occupato con il passare del tempo dalla borghesia.

Un lento processo di analfabetizzazione culturale operato dai mass media.

Quella che era la cultura contadina, fatta di persone semplici, timidamente ignoranti, fervidamente credenti ma ricche di valori e umiltà, è stata sostituita dall’agglomerato informe della società del consumo.

Produciconsumacrepa.

Oggi la catena economia che si credeva oliata e perfettamente funzionante, si è rotta e non ne vuole sapere di  ripartire.

Non credo sia solo un problema di poca disponibilità economica, non credo nemmeno che sia legata all’attuale economia di oligopoli, che uccide la libera concorrenza arricchendo di fatto chi era già ricco.

Penso invece che l’acquisto oggi sia oggetto di una attenzione edonistica da parte dell’acquirente.

La difficoltà dei commercianti oggi non è semplicemente imputabile alla concorrenza, ma al fatto che l’acquirente valuta molto prima di acquistare qualunque cosa.

Caratteristiche come “furbizia” e “bravura” tornano ad essere qualità positive per chi acquista, l’obiettivo è riuscire a spendere meno, anche quando il fattore economico non attanaglia il soggetto in questione.

L’occasione è come un trofeo portato con fierezza, anche se spesso la ricerca ha occupato tempo, quindi risorse, a raffronto magari di pochi euro di differenza.

Internet ci ha modificato anche in questo, ci ha resi più curiosi, meno passivi.

Per anni la televisione è entrata nelle nostre case dicendoci ciò che era giusto o sbagliato.
Oggi la diffidenza serpeggia nella rete, il raffronto incrociato è prassi.

La consapevolezza è nemica del consumismo.

Sono fiducioso, credo che una lenta rivoluzione sia iniziata, segnali e allarmi entrano nella nostra camera attraverso i social network.

Ci informano, a volte ci disinformano, ci mettono paura ma ci fanno sentire vivi.

Se i luoghi di incontro si sono ridotti a tintinnanti bar da aperitivo, dove i rapporti sono superficiali ed effimeri, ben vengano strumenti come blog e facebook.

Spesso all’interno di queste locande virtuali, ho trovato persone più interessanti che in quelle del mio paese, peccato manchi il profumo di cabernet e soppressa.

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Ascoltando: Iron and Wine, The Shepherd's Dog, 2007

martedì 13 aprile 2010

BE.......I'S DEAD (Bela Lugosi's Dead)

Mai come in quest'ultimo periodo si è parlato di B., è chiaro che l'organizzazione di giornate come il "No B. Day" siano chiarificatrici in questo senso.
Orde di giornalisti, da Travaglio a Feltri, da Vespa a Zucconi, vivono letteralmente grazie alla sua persona.

Oggi basta una lettera per nominarlo, persino E.T. ne necessitava due.

Ogni sua mossa, ogni suo scheletro nell'armadio viene prontamente sbattuto in prima pagina e discusso su tutti i media con un fervore che non ha precedenti.

Così quando in un documentario della BBC, mi sono sentito paragonare B. ai Beatles, ho fatto subito riferimento alla copertina di Rolling Stones Italia di dicembre 2009, in cui il nostro veniva eletto a personaggio rock dell'anno.

Ancora prima della vignetta di Staino, ho cercato più volte ad immaginarmi il mio paese senza di lui.

Non sono mai riuscito a disegnare uno scenario, eppure sono un creativo.

Si tende spesso a caricare tutti i mali del nostro sistema politico su una singola persona, io credo che le persone nella nostra società possano fare molto, ma non tutto.

Tutti i grandi personaggi della storia si nutrivano di un substrato culturale che li sovralimentava rendendoli ancora più forti, dopati.

Il mio timore è che, dopo il suo passaggio a miglior vita, possano scorrere ancor più fiumi d'inchiostro di quanti se ne sono spesi in questi ultimi anni.
B. non potrà mai avere un delfino, resterà come un dittatore, un caso isolato.

Non so se la mia passione per il Movimento Cinque Stelle, tragga forza da una mia semplicistica ed egoistica voglia di avere la coscienza a posto.

Quello che propone Grillo sul suo Blog è universalmente condivisibile, giusto, onesto e pulito.

Eppure, nonostante fosse uno dei pochi ad aver spiegato perfettamente il contenuto del suo programma, nel corso delle ultime elezioni non ha conquistato percentuali rilevanti.
Addiritttura nelle regioni in cui ha avuto un risultato soddisfacente, si è preso pure insulti da parte del Pd e dei relativi sostenitori.

Nonostante la mia simpatia per il Movimento, non so se una democrazia dal basso sia attuabile, soprattutto in Italia.

Ogni paese ha bisogno di una forma di governo specifica e, come la storia insegna, se non ce l'ha piano piano la sua struttura si assesta finché il tutto funzionerà al meglio.

Nel Belpaese siamo abituati a pagare qualcuno perché ci risolva i problemi, ci offra un servizio.

Siamo troppo impegnati con il lavoro (finché c'é), la famiglia (idem), la televisione (idem), i social network, così delegare è divenuto imperativo.

Delegare ad una rockstar, agli occhi di qualsiasi disinformato, fa sentire meglio rispetto che affidarci a figure poco convincenti dal punto di vista mediatico.

Non sono le televisioni, il denaro, il potere a rendere B. inattaccabile.
Così inattaccabile da augurargli disgrazie mediante vignette.

E' piuttosto la mancanza di scenari alternativi che spaventa gli italiani.
Anche quelli che, informandosi, temono per il domani come me.
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Ascoltando: Bauhaus, Press Eject and Give Me The tape, 1995

lunedì 12 aprile 2010

LINEA GOTICA

La vignetta di Staino pubblicata su L'Unità di domenica, ha suscitato non poco clamore da parte di quasi tutti gli schieramenti politici.
Nell’illustrazione è rappresentato Bobo (storico personaggio presente nelle strips del vignettista) che dice a sua figlia: “Novantasei membri del governo polacco spariti in un colpo.”
Ilaria risponde: "La solita storia: a chi troppo e a chi niente"

Il riferimento alla politica italiana è evidente.

L'attuale governo è rappresentato da uomini che si vantano di parlare all'elettorato, dicendo le cose che tutti pensano, ma nessuno ha il coraggio di dire.
Sono certo anche che alcuni, alla tragica notizia dell'incidente aereo, hanno sperato nell'intervento di una giustizia divina, per attuare i propri desideri politici in Italia.

Penso però che argomenti come la morte e la malattia, possano escludersi automaticamente come argomento di scherno e derisione.

Sottolineo che questo sia auspicabile come atteggiamento contemporaneo, la storia dell’uomo infatti  è costellata di esempi di irrisione della morte, al fine di renderla meno tragica.

Ridere per vincere la paura.


Nell'ultimo periodo mi sto interrogando su quale sia il limite della satira, complice anche la lettura parallela dell'ultimo libro di Luttazzi.

Francamente non mi interessa se certe forme d'arte offendano Feltri oppure Belpietro, Zucconi o Travaglio.

La satira è un'arte, è comunicazione, semplicemente condivisibile o no, il semplice fatto che ci sia ci fa sentire più liberi perché ci fa capire che l’espressione non è imbrigliata dalla censura.

Quanti artisti avremmo perso, se la censura fosse stata ancora più cieca di quanto non lo sia stata in passato.

Per me il "Pissing Christ" di Serrano non è un'opere d'arte, ma semplicemente una provocazione bella e buona.

Decenza e buongusto dovrebbero regolare le forme di espressione, non l’esplosione di un artista a fronte di personali rotture di vincoli.


L’arte non dovrebbe essere solo un egocentrico sfogo,  togliersi sassolini, anche se sono macigni..

Se inscatolando merda e firmando orinatoi, Manzoni e Duchamp non hanno fatto del male e nessuno, Staino e Serrano, a mio avviso ,si sono spinti oltre la linea di demarcazione .

Quel tratto leggero e tremolante che divide l'arte dalla sterile, ma violenta, provocazione.

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Ascoltando: Consorzio Suonatori Indipendenti, Linea Gotica, 1996

sabato 3 aprile 2010

PERSONE SILENZIOSE

Recentemente ho guardato un filmato di una conferenza tenuta da Renzo Piano sulla tematica “Cos’è l'architettura”.

Devo dire che sono partito con dei preconcetti abbastanza forti.
L'avevo vista infatti, soprattutto nel titolo volutamente eccessivo, come una mossa decisamente egocentrica e pretenziosa.

Piano è un architetto che ho visto poco amato in ambito accademico, perlomeno negli anni in cui io ho studiato a Venezia.
Col passare del tempo mi sono fatto l'idea che forse innanzitutto vi era una gran componente di invidia, ma anche perché nel suo operato egli non si è mai piegato a un manierismo, non si è lanciato ciecamente all’inseguimento di un’estetica fine a se stessa.
Ciò lo ha reso di difficile identificazione.

Gli accademici hanno infatti continuamente bisogno di parametri, per catalogare persone e opere in correnti, non riuscendo a farlo, si trovano spiazzati.

Mentre l'architetto genovese spiegava questa nobile arte attraverso il suo operato, mi è capitato di soffermarmi su una parte forse meno squisitamente legata all'architettura.

Era il racconto di un Piano ragazzino, cresciuto nel dopoguerra, il quale narrava di come le cose in quegli anni migliorassero di giorno in giorno.

Le città erano sempre più belle, il cibo era sempre migliore, le persone più felici.
Nei suoi occhi sembrava di ripercorrere il nostro paese che stava fiorendo.

Queste sensazioni positive, diceva, ti entrano nella pelle e ti accompagnano per tutta la vita.

Se penso a cosa mi porto io sotto la pelle, sono bei ricordi di un’infanzia e una adolescenza spensierate.

Ma sono anche anni di pance piene, di consumismo, di oggetti comprati e gettati senza domandarsi dove andassero a finire.
Anni di vacche grasse munte a dismisura.
Anni di corruzione, di cose taciute, di benessere di facciata, di “comevàbenegrazietègrazieanchioscusamadevoscappare".

Anni in cui l'invenzione delle esigenze si è sostituita alla semplice soddisfazione di bisogni.

Questo è un anno in cui si parla e si parlerà poco della situazione economica, anche se le previsioni non sono delle più floride, salteranno infatti molti altri posti di lavoro.

Le televisioni continuano invece a sventolare tette e culi.

L'orchestra suonerà mentre il Titanic sta affondando.

Negli occhi delle persone leggo la paura, la leggo talvolta anche quando mi guardo allo specchio.

L’omertà dei media, ha come conseguenza principale l'idea che parlare dei problemi, sia un male.

Un veicolo di sventura.

Come se un fallimento dovesse essere a tutti i costi nascosto.

Vogliono farci dimenticare che, gran parte delle persone che siamo costretti a vedere sui rotocalchi e in televisioni, sono veri e propri esempi di fallimenti.

Depravati, incapaci di costruire una famiglia sana, individui senza dignità sotto megawatt di riflettori.

Esseri meschini coperti da coltri di cerone.

Ci stanno consegnando tra le mani un’italiucola di persone incapaci di chiedere scusa, di rendersi conto dei propri errori e ripartire.

Questa è l'Italia che la mia generazione si porta sotto la pelle.

Un paese di persone silenziose.
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Ascoltando
Luca Carboni, Persone Silenziose, 1989