martedì 29 dicembre 2009

IN VIAGGIO


Tutto questo sentire parlare di crocifissi che cascano, anniversari di muri demoliti a colpi di democrazia, storie colme di dietrologie e attori illustri, mi annoia.

Non vorrei ripetermi, chi mi segue con costanza, è a conoscenza della mia visione dell’arte profondamente antiromantica.

Quando sono approdato ad architettura ho cominciato a capire che osservavo il mondo dell’arte in maniera totalmente scorretta.
L’epoca romantica ha avuto la presunzione che l’uomo potesse inventare le cose, lasciandosi trasportare dalle emozioni e io ero nato in una culla romantica.

Invenzione e creazione.

Il duro scontro con la realtà accademica mi mise di fronte alla mia ignoranza e alla mia penuria di riferimenti iconografici, radi e senza un substrato culturale.

Una specie di estetica fatta di fogli di carta, senza nesso.

Il romanticismo non ha mietuto vittime solo sotto il punto di vista artistico, ma anche culturale.

I mezzi di informazione ci infarciscono di nozioni modellate per funzionare esteticamente, non eticamente.

Sembra di essere nelle pubblicità dei mulini candidi, dove le famiglie sono costruite ad hoc in una selezione simile ai campi di concentramento.

Biondi, sani, occhi azzurri.

Le cose accadono perché devono accadere.
I crocifissi cadono perché i chiodi sui quali li avevamo appesi, erano privi della nostra forza, che serviva a sostenerli.

Non sono le corti europee a togliere i crocefissi dalle scuole.

Papa Giovanni Paolo II non ha sgretolato il muro di Berlino, è stata bensì una collettività forte e unita, contro una parete che era indebolita.
Sbriciolata da ideali morti e sepolti da tempo.

Abbiamo sempre bisogno di un soggetto da porre sul patibolo, oppure erigere a salvatore, il romanticismo ci rende affamati di inventori.

D’altronde pensiamo per frammenti, e questi frammenti hanno bisogno di storie brevi e pochi attori.
La nostra memoria sta divenendo corta.
Carta.

In viaggio quest’estate, mi sono recato per la seconda volta alle Catacombe di Sant’Egidio
Lo consiglio a tutti, entrare nel ventre freddo e umido della cristianità ci farebbe ricordare che tutto quest’odio che sentiamo nei confronti della chiesa, non può che avere radici deboli.
Trovarsi di fronte ai resti del passaggio di martiri che hanno lottato, morti credendo in un uomo che non avevano mai conosciuto, è una sensazione forte anche per un non cristiano.

Questa sensazione da sola riesce a spazzare tutto ciò che è stato fatto da uomini di chiesa deboli, plagiati da catene troppo corte, pensate per animali e non per uomini in carne e ossa.
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Ascoltando:
Consorzio Suonatori Indipendenti, Ko de mondo, 1994

lunedì 21 dicembre 2009

PIU' SU


Dopo la crisi globale proveniente dagli Stati Uniti, un altro nemico della spinta economica è Dubai, con il congelamento dei debiti richiesto dalla Dubai World.

Qualche uccellaccio del malaugurio cerca di rendere credibile la teoria della “maledizione dei grattacieli” ideata da Andrew Lawrence e ripresa in mano per l’occasione da Mark Thornton.

Sembrerebbe, infatti, che ogni volta che un grattacielo raggiunge un record di altezza, questo sia presagio di un crollo della borsa del paese che lo ospita.

Come se questi alti ed aguzzi edifici si innalzassero per far scoppiare le leggere bolle economiche.

Spilli premuti su palloncini.

Anche San Gimignano, la città delle torri, vide il suo declino economico dopo la moda della “casa torre”.
Negli anni ne furono erette settantadue, anche se oggi ne sono visibili solo sedici.
Agli inizi del cinquecento, i visitatori di questo bene protetto dall’UNESCO, potevano godere della vista di una moderna Manhattan.

Oggi sembra che questa tipologia edilizia sia portatrice di sfortune.

Peccato, noi architetti siamo sempre stati attirati dalle torri.

Saranno i rimandi ai dettami lecorbuseriani, saranno le loro forme semplici, sarà che tali edifici segnano il territorio come nessun altra tipologia.

Gli architetti spesso sono egocentrici.

I grattacieli sono degli enormi menhir che infilzano il pianeta, chissà, seguendo più o meno le rotte farneticate ne “Il Pendolo di Foucault” di Eco.

Giganteschi falli eretti a dimostrare il vigore fisico di una società sana, (ri)produttiva.

In Cina stanno progettando torri vertiginose, la Shanghai Tower dovrebbe raggiungere i centoventotto metri, non certo un record, ma da mozzare il fiato.

Nonostante il nostro “Italians do it better” e il fregiarsi di innate doti amatorie, nel nostro belpaese non abbiamo mai cercato di competere in costruzioni di questo tipo.
Le nostre capacità ingegneristiche ci sono state sempre invidiate, dalla diga del Vajont alle opere di Pier Luigi Nervi, ma i grattacieli ci hanno sempre intimorito.

Le nostre torri sono state sempre proporzionate, forse un po’ tozze rispetto alle leggere linee contemporanee.

Probabilmente il nostro popolo ha sempre pensato che ci fosse una giusta proporzione tra la lunghezza della torre e le palle che ci stanno sotto.

La giusta proporzione spesso è anche solidità.

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Ascoltando:
Renato Zero, Icaro, 1981

domenica 6 dicembre 2009

THE MODERN DANCE


Premetto che non sono mai stato un amante della fantascienza, anche se, da adolescente, la curiosità mi aveva spinto verso la biblioteca di famiglia.
L’alto mobile in legno scuro, oltre a contenere l’opera completa di Asimov, includeva anche la saga di Dune e decine di volumi di racconti ad opera dei più svariati autori.
Assaggiando di tutto un po’, come mi è solito fare, negli anni mi sono dotato di un’infarinatura letteraria che comprende qualche tomo dei succitati, oltre ad alcuni romanzi acquistato da me.

Ieri sera, decisamente provato da una settimana d’inferno, mi sono dedicato alla visione del capolavoro di Ridley Scott.
Erano trascorsi molti anni dall’ultima volta ma, come sempre, mi hanno colpito le scenografie oniriche e ricche di particolari, il solitario appartamento colmo di pupazzi di J. F. Sebastian e la costruzione dei personaggi che si muovono all’interno della pellicola.

Un’idea mi continuava a ronzare per la mente.

Continuavo a immedesimarmi in mio padre, a riflettere su cosa aveva significato per lui, grande amante del genere, l’avvento dei libri di Asimov, Dick e pellicole come queste, senza ombra di dubbio stimolanti.

Le idee , i sogni e i colori che bollivano nelle menti degli adolescenti degli anni ’50 dovevano essere molto simili alla cinematografia che ne è scaturita.

Gli scrittori immaginavano mondi nuovi, differenti forme di aggregazione sociale e struttura politica, flussi di individui che si muovevano liberamente nelle tre dimensioni, il tutto condito da una poetica decadente.

A mio parere, la debole fantascienza che riusciamo a malapena a realizzare oggi, è amaramente tangibile e sterile.
Romanzi e pellicole sono pervase da arcani complotti, antichi misteri spesso religiosi oppure, in alternativa, catastrofi imminenti e prossime.

Non sento più parlare di futuro.

E’ come se, avendo costruito troppo, ci fossimo privati della visione di un orizzonte.

Credo che l’architettura di Zaha Hadid, per quanto possa essere o no in sintonia con la sensibilità di chi la fruisce, sia quanto più vicino all’idea di futuro che la nostra società ha a disposizione.

Attraverso i suoi progetti, essa traccia solchi, trasformando ciò che precede le sue forme liquide e dinamiche, in immagini vetuste di un’epoca passata.

Come se la sua opera riuscisse a depositare un velo di polvere sugli edifici che la circondano.

A pensarci bene suscita rabbia il fatto che non si riesca a porre un traguardo da raggiungere, una sola immagine di futuro, che sposti l’orologio avanti di cinquant’anni anticipando gli eventi.

La mia paura è che la nostra immagine del futuro non sia molto dissimile da come vediamo il mondo oggi, con il risultato di lasciarci trascinare dalle tecnologie che vengono sviluppate.

Senza sognarle.

Con il senno di poi, possiamo tranquillamente asserire che pietre miliari come Nostradamus, Burgess e Verne ci avevano azzeccato.

Quale sarà il nostro contemporaneo visionario, chi potremo additare come profeta tra un secolo?
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Ascoltando:
Pere Ubu, The Modern Dance, 1978