martedì 18 settembre 2012

YOUR CHURCH IS RED

In un periodo oggettivamente difficile come quello che stiamo vivendo da qualche anno a questa parte, si richiedono sacrifici per tutti, si inizia a esigerli anche da parte di chi continua a essere escluso dalla macelleria sociale.
I primi che hanno subito l’attacco sono stati i politici, dipinti sempre come ricchi, spendaccioni, arrivisti, completamente avulsi dal concetto di “paese reale”, una classe insomma chiusa, che ha sempre dei posti al sole per amici e parenti.
Con la scomparsa dei grandi ideali e l’omogeneizzazione dei programmi elettorali, dei temi su cui discutere è rimasto solo il tritacarne mediatico, ossia di demolire qualsiasi tentativo di costruzione, delegittimandone tutta la categoria.
Durante una trasmissione di pochi giorni fa, a seguito dell’intervista rubata a Favia del Movimento 5 Stelle, Enrico Mentana ha ribadito una cosa giustissima che mi ha fatto riflettere: è un dovere dei giornalisti e dei mezzi di informazione fare le pulci a qualsiasi personaggio pubblico.
Sarebbe interessante, invece, spiegare agli utilizzatori attivi dei social network e ai fruitori passivi dei media, che è loro dovere suddividere ciò che giudicano rilevante dai piccoli pretesti per mettere le persone alla gogna.
Filtrare le informazioni oggi è una azione importantissima che riguarda noi stessi quanto gli altri.
Chi ultimamente ha dovuto subire qualsiasi attacco dai mezzi di informazione è la chiesa, la campagna per farle pagare l’ICI, ha popolato tutti i mezzi d’informazione, sfociando in alcuni casi in odio, sentimento figlio di condizionamenti psicologici, pericoloso tanto quanto la cieca idolatria.
Il simbolo di tutto questo odio è San Pietro in Vaticano, sito in un altro stato e quindi indipendente, mentre il resto del patrimonio è costituito di una nube di chiese e chiesette che stanno perdendo il loro valore simbolico, trasformandosi in musei a pagamento.
Muri svuotati del loro significato, fragili, edifici senza materia svuotati anche dei fedeli, parroci che gestiscono più parrocchie, messe celebrate dinanzi a pochi anziani.
Vent’anni fa, quando controvoglia presi il sacramento della cresima, si discuteva del problema della mancanza di seminaristi, oggi il problema è ben più grosso.
Il problema è riconoscere che parole e simboli hanno ancora importanza nella nostra società, solo che ciò che da sempre ha costituito le fondamenta di un popolo, é stato sostituito dall’effimero, mescolando le carte.
La politica fa schifo e quindi nascono “movimenti”, apparentemente senza leader, la chiesa fa schifo e non si contano le filosofie orientali, psicologi, sette, medicine e altri palliativi per chi ha bisogno di sostegno, di un bastone per potere avanzare nel percorso della propria vita.
Preferisco di gran lunga i termini “partito”, “religione”, “politici”, parole nobili.
Non è detto che, se le persone hanno fatto un cattivo uso di un termine, esso debba per forza perdere il suo valore.
Sono solo vocaboli che sono stati delegittimati, complice sia la quantità ingestibile di informazioni che riceviamo ogni giorno.
Non sono un conservatore che lotta contro la rete, nemmeno un sostenitore dell’ignoranza, credo solo che le informazioni e il sapere siano difficili da gestire, capire e filtrare e che questa Babele di dati abbia contribuito al caos, trasformandoci in un popolo di navigatori senza meta, rotta, vento e nave.
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Ascoltando:
The Black Heart Procession, 2, 1999
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domenica 3 giugno 2012

L'ORA DELLE TENTAZIONI

Gli stessi gusci di cui ci vestiamo nella vita di tutti i giorni, possiamo osservarli anche nei social network.
Migliaia di pacche sulle spalle, complimenti, "mipiace", che adoperiamo per rallegrarci la giornata, per sfamare il nostro bisogno di consolazione.

Le giornate scorrono secondo i nostri programmi, facciamo programmi per tutto, tutto deve andare secondo i piani, nessun intoppo.

Stiamo con il sigaro piantato in bocca a bofonchiare: "Adoro i piani ben riusciti."

Due settimane fa mi è capitato di vedere parcheggiata, di fronte al municipio di una città, una Ferrari fiammante.
Sostava lì perché attendeva una coppia di sposi con al seguito gli invitati, tutti erano molto composti, eleganti, niente urla e tonnellate di riso.
Insomma il tipo di persone che non avevano indosso il “vestito buono”,  ma che hanno solo vestiti buoni.
Una musica allegra stava suonando in sottofondo, dei musici di strada, mendicanti, si erano avvicinati al gruppo riunito per l'evento.

Era la perfetta immagine delle cose che non vanno secondo i nostri piani, progetti curati minuziosamente, che non tengono conto però dei fattori esterni, della variabile stocastica.

Se la nostra delicata composizione è fatta di pesi leggeri, come una scultura di Calder, la facilità con cui è possibile minarne l’equilibrio fa gola a chi ne comprende la natura effimera.

Le perle, anch’esse opere d’arte, sono frutto di un sistema di difesa che entra in azione quando un corpo estraneo penetra all'interno di un'ostrica.

Agenti esterni possono cambiare natura alla struttura delle cose, scombinare i nostri piani, deviare i nostri percorsi o addirittura modificarne il traguardo.

L'abilità sta proprio convertire un imprevisto in un'opera d'arte.

Miles Davis durante in concerto, nel bel mezzo di una improvvisazione, si ritrovò con il pianista che aveva inserito un accordo sbagliato, lui allora adagiò una nota perfetta, tesa, che risolse l'errore.
Alla fine, nei camerini, andò incontro al musicista che lo attendeva tremando e lo ringraziò di quell’accordo, offrendo una incredibile lezione: quanto in teoria può rovinare un ipotetico equilibrio, in realtà trasforma la banalità in eccezione.

Viceversa, la nostra esistenza sarebbe una patetica monotonia,

"La casa, la chiesa, a modo e per bene, campana che suona, la notte che viene, cattolico decoro."
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Ascoltando:
C.S.I., Linea Gotica, 1996
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martedì 17 aprile 2012

RITORNO AL NULLA

La letteratura fantascientifica è costellata di racconti che narrano di uomini dotati di poteri soprannaturali, spesso questi privilegi sono causati da traumi, incidenti.
In pratica queste doti ci vengono presentate come una specie di riscatto per un torto subito.
“Funes, o della memoria” è un racconto contenuto all’interno di “Finzioni” di Jorge Luis Borges, un libro costellato di personaggi e luoghi surreali.
In particolare, il protagonista di questo racconto è condannato a ricordare, questo in seguito a un incidente che lo ha paralizzato a letto.
Ogni forma che vede, Funes riesce a percepirla con la stessa semplicità con cui noi guardiamo un triangolo, un quadrato.
Un dettaglio per lui è vivido, ogni suo singolo sguardo raccoglie un numero di informazioni che una persona normale non sarebbe in grado di sopportare.
Funes è una persona incapace di pensare, il suo cogliere continuamente dettagli e conservarli in maniera così perfetta, satura la sua mente e non gli lascia spazio per vagare.
Il racconto descrive insomma una persona che non è in grado di astrarre, nemmeno a occhi chiusi, per lui è quindi impossibile dormire.
Negli Stati Uniti, l’istruzione basata sulla nozione, sulla memoria, si è interrotta agli inizi del novecento, in Italia invece si è dovuto attendere qualche anno.
L’evoluzione dei mezzi di comunicazione, ha dato ragione a chi pensava che il concetto, il “perché”, il collegamento dovesse prevalere sull’elemento isolato, data e luogo.
Oggi il motore di ricerca web più diffuso al mondo, assieme al suo fido browser, ci insegnano a dimenticare.
Abbiamo delegato la nostra memoria collettiva a una azienda privata, della quale siamo inconsciamente dipendenti e clienti al tempo stesso.
Mentre digitiamo le lettere, il browser ci suggerisce possibili parole corrispondenti alla meta della nostra ricerca.
Quando premeremo invio alla fine della stringa, si saranno accesi quasi mille computer, per darci milioni di risultati in una frazione di secondo.
Che senso ha la memoria se, mentre sto digitando qualcosa, un sistema mi dice cosa sto cercando, suggerisce altre alternative alla mia navigazione e mi conduce dove più gli aggrada?
Preferiamo navigare nell’oblio, attraverso escamotage che filtrano la realtà e la memoria, altrimenti ci sarebbe impossibile sopportare le delusioni, tifare la squadra del cuore, credere in un movimento politico, avere degli amici, amare.
Abbiamo un incredibile bisogno di dimenticare, per poterci emozionare.
Google è una forma contemporanea di oblio, una religione, il nuovo oppio dei popoli.
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Ascoltando:
Le Orme, Felona e Sorona, 1973
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sabato 28 gennaio 2012

PICTURES OF YOU

Quando porto con me la macchina fotografica, raramente mi capita di tenerla a tracolla, come un giapponese in gita a Venezia.
Preparo le uscite, con pochi accorgimenti, la sera prima.
Mi ricordo di caricare la batteria, controllare che la scheda di memoria non sia piena, imposto la modalità di scatto e scelgo quali obiettivi mettere in borsa.
La scelta degli obiettivi è di vitale importanza, influirà in maniera pesante sull’uscita fotografica.
Ci sono alcune volte in cui passeggio e non trovo nulla di interessante, allora la mia macchina fotografica resta dentro il marsupio, ma è come se fotografassi con gli occhi.
Mi giro intorno, osservo accuratamente tutto, scruto lontano e poi torno alle cose a me vicine, in un continuo zoomare.
Sono giornate in cui sento che i miei piedi sono ben saldi a terra, ascolto il mondo e ne assaporo ogni sua particella.
Sono i giorni in cui vorrei essere parte di ogni muro, di ogni oggetto che incontro per strada, per sentirlo mio, per farmi raccontare la sua storia, per capire.
Non si può inquadrare tutto, la ripresa avviene attraverso un angolo di campo, più l’angolo è ampio e più ci sembrerà di essere dentro l’immagine, più è piccolo e più l’oggetto ci apparirà distante.
Ecco perché i teleobiettivi nonostante avvicinino gli oggetti ingrandendoli, in realtà ce li fanno apparire distanti, piatti.
Gli obiettivi macro invece permettono una visione ravvicinata del soggetto, riuscendo a mettere a fuoco cose molto vicine alla lente.
Questo continuo salto di scala, per capire cosa debba essere messo a fuoco, influisce sulla bontà di uno scatto più della conoscenza dei tempi di esposizione e altre menate.
E’ tanto importante il punto di vista quanto il punto di fuga.
Da circa un anno e mezzo ho deciso di fotografare con un obiettivo fisso che ha circa lo stesso angolo di visione dell’occhio umano.
Gli oggetti che voglio ritrarre li devo aggirare fisicamente, avvicinarmi, allontanarmi, in un lavorio che è ovviamente più impegnativo, in quanto il vincolo dell’ampiezza dello sguardo è un muro invalicabile.
Mi ritrovo così a non restare mai fermo, cerco il giusto punto di vista, regolo l’apertura del diaframma e pigio il pulsante.
CLICK!

La bravura è tradurre ciò che si ha in mente, in immagine.

Non è una questione di composizione, pesi e colori, ma capire qual é il soggetto che si sta guardando.
Capita tutti i giorni.
A volte non riesco a cogliere le scene che osservo nella loro interezza, proprio perché non le osservo con il giusto angolo di visione, troppo ampio o troppo ristretto.
Quotidianamente si è di fronte a un processo inverso a quello della fotografia: rielaborare immagini che qualcuno ha già composto per noi, saperle leggere è la discriminante che ci separa dalla consapevolezza.
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Ascoltando:
The Cure, Disintegration, 1989
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