lunedì 7 febbraio 2011

PIAZZA GRANDE

Nella mia città sono iniziati i lavori per aggiungere ulteriori e inutili metri quadri alla piazza principale.

La moda di lastricare i centri cittadini, in Europa ha il suo punto di culmine negli anni ’90, l’Italia decise di non stare lì a guardare.

Si presero di mira microcentri dal delicato equilibrio compositivo, con piazzette spesso tagliati da sottili vie urbane, decidendo di pavimentarle, sovrapponendo un linguaggio contemporaneo, a organismi che già respiravano di vita propria.

Una piazza è uno degli organismi più delicati di una città, solo attraverso un’attenta lettura della sua geometria, delle proporzioni, dell’altezza degli edifici che la prospettano, degli accessi, delle funzioni che accoglie, si può capirla.

A volte il suo funzionamento è inspiegabile.

Il progetto di una piazza è uno dei temi più difficili da affrontare, perché coinvolge regole che vanno al di là delle componenti vitruviane, la giustapposizione di un sistema di edifici che vive e respira è certamente un esercizio complicato.

Non basta stendere piastre di pietra per far sorgere delle agorà, lo ha descritto in maniera limpida Camillo Sitte con un testo che possiamo classificare come dimenticato, stando alle mosse delle amministrazioni politiche e dei progettisti.

Le vuote e mute piazze che sono sorte nei paesi e nelle cittadine del mio desertico nordest, sembrano più prospettive di De Chirico che luoghi di aggregazione.

I progetti sono fatti in copia carbone:
- lastre di medie dimensioni di colore grigio (lo sporco non risalta e le gomme da masticare incollate si notano di meno);
- spazi vuoti (che non permettono alle persone di sostare);
- presenza di oggetti decorativi inutili (fontane, specchi d’acqua e altro per giustificarne il costo).

Preso atto che le uniche persone in Italia che riescono ancora a vivere la città sono gli extracomunitari (noi siamo in casa connessi ai social network oppure imbambolati di fronte alla televisione), l’assenza di luoghi dove poter sostare all’interno delle piazze contemporanee, evita che gli extracomunitari possano sedersi e chiacchierare.
Così, per impedire alle persone di socializzare liberamente, siamo costretti a consumare bevande negli anonimi bar, situati sotto i portici, ai margini di queste enormi piastre silenziose.

Alcune città si stanno persino tutelando, con leggi che impediscono il consumo di cibi negli spazi aperti.

Qualcuno dovrebbe spiegare alle amministrazioni, che le piazze non sono belle se sono costituite da bei materiali, ma se funzionano.

Il mancato funzionamento le trasforma in non-luoghi, alienanti e abbandonati.

Costosi ruderi adagiati in paesini troppo esili per sostenerli.

______________________________
Ascoltando:
Lucio Dalla, Piazza Grande, 1972

Nessun commento:

Posta un commento