domenica 20 settembre 2009

WHAT ARE THEIR NAMES PART 2


















Presumibilmente Sgarbi deve avermi mosso qualcosa dentro lo stomaco, non si spiegherebbe altrimenti che, sul medesimo articolo, mi sono ritrovato a scrivere ben due post (vedi sotto).

Uno sarebbe risultato decisamente troppo prolisso.

In parole povere, all’interno dello stesso articolo, si proponeva di utilizzare i soldi destinati all’edificazione della nuova biblioteca (300.000.000 di eurini) per acquistare edifici storici e libri.
Secondo il critico “le biblioteche nuove come questa...sono come le moderne architetture religiose, senz’anima e vita rispetto alle chiese gotiche, rinascimentali e barocche” (Il Giornale, sabato 29 agosto 2009).
In parole povere, la proposta è di utilizzare edifici storici, per impedire di costruire edifici culturali asettici.

Una persona che utilizza il termine “moderno” per intendere “contemporaneo”, a mia modesta opinione non vale la pena di essere ascoltata, soprattutto se ad utilizzarlo è uno studioso che si fregia di titoli e onorificenze.

Probabilmente nessuno gli ha spiegato che per architettura moderna, come per l’arte, si intende il periodo storico compreso dal 1492 in poi.
All'università mi avrebbero crocifisso in sala mensa per un errore del genere.
Quindi con architettura moderna, sta tirando in ballo anche Andrea Palladio e la sua celebre villa Capra detta “La Rotonda”.

Pensando a queste parole, mi sembra quasi di sentire il vociare di due attempate signore di fronte al duomo del paese, con le borse della spesa: “Ma sa che è proprio brutta questa chiesa tutta moderna e di cemento?”

Magari il paese è Longarone e la chiesa è quella di Michelucci.

La bellezza di un edificio storico, non risiede nei suoi decori, nei suoi affreschi o nelle sculture che ospita, ma nel rigore e nella sacralità che riesce a trasmettere.

Questo è solo frutto dell’uso della luce, delle proporzioni e degli spazi.
Il resto è, appunto, decoro.

La chiesa di Michelucci potrà anche non essere paragonabile a San Pietro come maestosità, ma l’atmosfera che si respira quando si varca l’ingresso, è quella di trovarsi realmente nella casa di Dio.

Colgo il disappunto di Sgarbi e, seguendone il pensiero, faccio una provocazione per risolvere un problema inesistente.
Non sono stato in molte biblioteche, ma quella che in assoluto mi ha colpito di più è stata la Biblioteca Marciana di Venezia.
Tale edificio si trova a Venezia ed è attualmente occupato da un’altra istituzione, allora perché non costruirne uno identico a Milano?
Non hanno forse ricostruito il Teatro la Fenice identico a com’era e dov’era prima del tragico incendio?
Sarebbe semplicissimo, un rilievo preciso delle strutture murarie, del mobilio e poi via alla realizzazione.
Si potrebbe addirittura invecchiarne i muri artificialmente, forare il legno degli scaffali per simulare il lavoro dei tarli.
L’edificazione ad hoc una serie di edifici storici potrebbe essere pianificata, per fare contenti coloro che credono che la bellezza di un edificio risieda nella suo aspetto classicheggiante e consunto.

L’architettura come diceva Le Corbusier, è fatta per commuovere.
Non pretendo che tutta l’architettura debba commuovere, ma perlomeno sono d’accordo che gli edifici religiosi, o connessi alla cultura, abbiano l'obbligo di smuovere sentimenti.

Non so se un affresco di Giotto possa portare il fedele più vicino all’estasi del crocifisso di San Giovanni Rotondo, né se la basilica di Assisi sia più vicina a Dio di quella di Renzo Piano.

Se il diavolo si cela nei dettagli, Dio non so dove si celi in architettura.

Probabilmente nei volumi puri e semplici bagnati dalla luce dei silos di Le Corbusier.
Ai quali, se volete, come in una torta che si rispetti, possiamo aggiungere come guarnizione dei motivi, trame e decori, ma anche dipinti.

Buon appetito.
Amen.

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