domenica 21 dicembre 2008

LOVELETTERS IN THE SAND - PARTE TERZA (LILAC WINE)

Se mi leggete con una certa assiduità, saprete che ho smesso di fumare, sarete inoltre al corrente che l'ultimo periodo per me è stato abbastanza pesante.

Tanto da cominciare a pensare che fumare faccia bene al cuore, intorpidendolo.

Non credevo che questo post, potesse arrivare alla sua terza puntata, l’ultima.
Ultimamente una persona mi aveva chiesto se ci sarebbe stato un seguito, io prontamente le avevo risposto che, il mancato incontro, aveva precluso qualsiasi altra puntata, riflessione.
Ma certi eventi non puoi determinarli, arrivano e basta.

CIN!!!

Ieri sono riuscito finalmente a mettere in fila tutto quello che mi è accaduto, a dargli un senso, una forma.
E' così bello avere tutto chiaro, anche se solo per un’istante.

Le schizofrenie degli ultimi giorni, stranamente già da ieri mattina sembravano un ricordo, tanto da lasciarmi libera la mente e consentirmi di lavorare in pace.
Intanto attendevo il pomeriggio che avrebbe previsto acquisti assieme a mio fratello.
P. per me è l’esempio di come le cose possono cambiare.
Dopo anni di pareti invalicabili abbiamo cominciato a conoscerci e ad apprezzarci.
Non passiamo molto tempo assieme, ma è tempo di gran qualità.

"Stai tranquillo Alberto", mi dicevo, mentre passavamo da un'osteria a un'altra.
Era una giornata dedicata agli acquisti, certo, ma a Treviso è difficile schivare tutte le cantinette disseminate tra un negozio e un'altro.
L'unico desiderio era quello di non pensare, non soffermarmi su quello che è successo nell'ultimo mese, sarei andato in sovraccarico, non avrei trovato il capo della matassa.

Entrare all’interno dell’osteria gestita da S. e suo marito è stato stranamente più pesante del solito.

Il desiderio di sentirla era stato forte nell'ultimo periodo, i segnali per incontrarci e l'impossibilità di rendere questo evento reale, avevano pesantemente minato il mio sistema nervoso.

Per l’ennesima volta ho varcato quella soglia senza trovarla dietro al banco.
Poco male, diamo inizio alla danza dei calici, con in bocca il sapore forte del sangue della mia terra e le solite chiacchiere da bar.
Nel mezzo di un tango di cabernet la vedo entrare.
Gelo, freddo, ghiaccio.

Tutto mi sarei aspettato, ma non una sensazione del genere.
Nessun dialogo, nessuno scambio di sguardi.
Una continua fuga, una continua sua fuga.

Il viaggio di ritorno l’ho fatto piangendo.
Solo nella mia macchina piangevo tutte le lacrime che non ho mai versato negli ultimi dieci anni.

Piangevo perché, in un istante, ciò che per anni avevo trasfigurato, si è trasformato in polvere.
Piangevo perché in un istante mi è giunta tutta la realtà che avevo nascosto, procrastinato, mascherato e sotterrato sotto migliaia di tappeti.
Piangevo perché gli appuntamenti con la realtà non puoi traslarli di giorno in giorno, sperando che la realtà non giunga mai.
Piangevo perché per anni mi sono aggrappato con unghie e denti al passato, impiegando una quantità infinita di energie, con l’unico risultato di trasformare in spazzatura tutto ciò che mi accadeva.
Tutto per un’immagine.
Questa immagine è svanita quando, con l’ultimo sorso di vino violaceo, il suo volto è apparso attraverso il fondo del calice.

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Ascoltando:
Jeff Buckley, Grace, 1994
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