giovedì 24 novembre 2011

RIDER TO THE SEA

Adrian la chiama “la onda”.

In sala prove con Sandro la sentivamo come una brezza in volto, leggera, che ti lambiva la pelle.
Nel mondo della musica qualcuno lo chiama groove, tiro, è quando stai suonando in gruppo e senti che quello che esce dalle casse, non è solo il prodotto dell’energia che vi stai infondendo, ma qualcosa infinitamente superiore.

Certo, ti stai impegnando, hai in mente l’armonia, il ritmo, i cambi, gli stacchi, le variazioni, ma ti sembra di dimenticarle, per lasciare spazio ad altro.

E qualcosa accade.

Coltrane, se non ricordo male, una volta disse che per fare musica, prima devi conoscere lo strumento, poi devi dimenticartene mentre stai suonando.
Se l’unico modo per potersi muovere tra i paletti con una certa disinvoltura, è quello di conoscerne precisamente la loro posizione, dimenticandosi della loro presenza, ben vengano i paletti.

Hai un binario deciso a priori, sul quale puoi fare quello che vuoi, le rotaie sono di un materiale duttile, ma ne hai deciso la traiettoria assieme ad altre persone, e non puoi permetterti di dimenticarlo.
Puoi lasciarti spazio per improvvisare, uscire con un solo mentre gli altri tengono salda la struttura sotto i tuoi piedi, poi tornare nelle retrovie, tenendo questa volta tu ritmo e armonia saldi.

Chiudi gli occhi e cerchi di sentire tutti.
Ascoltare tutti.

Ti ritrovi a pensare a cosa sta succedendo nella tua vita, alle persone che non sono con te in quel momento, per vedere quelle che sono con te basterebbe aprire gli occhi.

Sei altrove e intanto un processo mentale corre parallelo, si occupa lui di posizionare le tue dita al momento giusto, sul tasto giusto.
E’ come quando la mattina senti la sveglia e la spegni trovando subito il pulsante sotto le tue dita.
Nonostante tu ti sia girato e rigirato più volte nel letto.

Tutto scorre come un fiume in piena e tu non puoi fare altro che assecondarlo, il tuo valore aggiunto riesci a apporlo, perché alla struttura stai sovrapponendo emozioni, energia e piccoli interventi parzialmente incompiuti, i quali lasciano spazio all’immaginazione di chi ascolta.

Di chi sa coglierli.

Suonando uno strumento con altre persone, riesci ad aggiungere qualcosa di tangibile solamente quando riesci a lasciarti andare, conscio però di dove stai andando e di dov’eri un attimo prima.
Ti accorgi che quando ci sei dentro, inevitabilmente non puoi fare altro che seguire il ritmo fino in fondo, finché ad un a tratto riapri gli occhi, ti guardi con gli altri e con uno sguardo hai la certezza che anche loro stavano vivendo lo stesso momento, magari con un’altra intensità.
Ti fai un cenno e decidete che è l’ultimo giro, ora goditi gli applausi, ve li siete meritati.
_____________________________
Ascoltando:
Anna Calvi, Anna Calvi, 2011

domenica 9 ottobre 2011

SATELLITE OF LOVE

Gli interventi nel blog sono sempre più rari, pensavo che forse le cose più personali posso tenerle un po’ per me, coccolarle, prima di condividerle con chi inciampa in questa pagina.
Anche se credo che questo non sia nel mio stile, sono un esibizionista che ama condividere tutto, perché condividere è guarire.
Mi piace ancora correre, inciampare e sbucciarmi le ginocchia, per poi leccarmi le ferite, l’ho scoperto recentemente.
Quando arrivi a un punto morto devi cercare la svolta, a volte arriva senza aspettare molto.
Cerchi uno scopo in quello che fai e non lo trovi, le tue passioni ti soddisfano sempre meno, l’autocritica comincia a mangiarsi quel pizzico di amor proprio che ti rimane.
Resti lì, con lo stecchino in mano, mentre un liquido freddo e appiccicoso cola sulla tua mano e sul braccio.
Quel ghiacciolo sciolto è la tua vita.

Hai perso il ritmo e non riesci a girare con il mondo, non riesci neanche a interpretarlo, a osservarlo.

Noi non siamo preparati alla quantità di vita che abbiamo a disposizione.

Non sappiamo che farcene.
La cattiva educazione inizia sin da piccoli, i genitori non riescono a farti compagnia durante la giornata e decidono così di iscriverti a corsi, società sportive, così da tenerti impegnato.

Impegnato in cosa poi.

Inizi da fanciullo a barattare la tua vita con compromessi, contratti, responsabilità.

Cominci a confondere la tua vita con il tempo, come se avere tempo volesse avere vita, ma non è così.

Potresti avere anche un solo giorno di vita e non sapresti che fartene, cercheresti di occuparlo in qualche modo.

Riempiendolo.

E’ tutta qui la tua libertà?
Hai prestato la tua vita a mogli, mariti, ex compagni, datori di lavoro, banche, ceduto a compromessi ogni giorno, pur di poter prestare energia vitale.

Prestiti senza interessi, sia ben chiaro.

Sono in molti che, a un certo punto della loro vita, si trovano di fronte ad un muro.
Credo che non sia colpa del giungere tardo della consapevolezza.
Si accorgono semplicemente di essere vivi.

Se, tutto ad un tratto, venisse restituita loro tutta la vita, il loro cuore potrebbe scoppiare.
Lacerati dalle emozioni, vagherebbero per lo spazio, come frammenti di satelliti, colmi d’amore.
_____________________________
Ascoltando:
Lou Reed, Transformer, 1972

giovedì 15 settembre 2011

CANTONESE BOY

Ad essere autocritici, è da un po’ che non scrivo, questa appena trascorsa è stata l’estate degli imprevisti.
Il lato positivo è che ho raccolto le idee, appunti e immagini che ho potuto lasciare decantare, sperando possano nascere fiori.

Continuo a informarmi poco sui quotidiani, cerco però di cogliere frammenti, briciole e di comporli con logica.
Il risultato, spesso, è una sorta di collage dadaista che raffigura dignitosamente l’intento, ma che conserva l’odore di vinilica e i bordi frastagliati, di un’opera fatta in casa.

La crisi continua a mordere il vecchio continente e di conseguenza il nostro paese che, a suon di grafici decrescenti, soffoca assieme a banche e titoli azionari.

Numeri.

Spread, bond, PIL, le bocche si riempiono di termini appena focalizzati, al bar sembrano tutti studiosi di economia politica.
Tra un cornetto e un cappuccio si propongono manovre, da buoni amanti del calcio siamo tutti potenziali allenatori, poco disposti a sporcarci le mani, primi a criticare chi ha deciso qualcosa.

Nella nebulosa di informazioni e proposte che riguardano il nostro paese, una certezza che ci rinfranca è il nostro enorme e insostenibile debito pubblico.
Le proposte sono le più svariate, quello che è certo è che a poco a poco cominceremo a vendere parti del nostro paese.

All’orizzonte si è affacciata la Cina la quale, dopo aver acquistato parte del debito statunitense, ora sembra voler venire a fare acquisti qui da noi.
Per anni abbiamo fatto investimenti nel sol levante, conosciamo bene la situazione, non ci sorprenderà quindi apprendere che anche questa volta saranno loro a dettare le condizioni, ad esempio il superamento dei dazi doganali.

Non so voi, ma io non ce la faccio a ragionare senza solidificare i concetti, dargli una forma, in questo caso vedo questi giochi globali come una vera e propria guerra.
Una guerra che farò dei morti, creerà depressione, sposterà popolazioni, lascerà territori sterili ed edifici decadenti.

Allo stesso modo del racconto di John Perkins, il “sicario economico”, sembra che oggi siano in atto degli sconvolgimenti globali paragonabili a quelli trascorsi.

Questa volta però senza armi, senza sangue, senza politica.

Lentamente la Cina ci ingloberà, ci acquisterà senza muovere un dito.

Come nelle arti marziali, sembra che essa utilizzi la forza dell’avversario per trarne vantaggio.

Di fronte ad una politica nazionale fintamente ottusa, volta all’odio razziale, colma di parole per denigrare un popolo, loro decidono di "darci una mano".

Non è che lo facciano per un atto di compassione, credo che sia l’unica cosa che riescano a fare.

D'altronde siamo noi ad averla tesa.
_____________________________
Ascoltando:
Japan, Tin Drum, 1981

domenica 24 luglio 2011

FEARLESS (YOU'LL NEVER WALK ALONE)

MI-LAN!!! MI-LAN!!! JU-VE!!! JU-VE!!! IN-TER!!! IN-TER!!!
Come si sia diffusa la tendenza di tifare squadre delle grandi città, nessuno se lo sa spiegare.
E’ un altro esempio di come l’amnesia del passato, patologia in Italia diffusissima e spesso cronica, sia il primo passo per dimenticare “il perché” delle cose.
Non ho mai amato lo sport, la competizione agonistica, il tifo, ma credo che sia una passione atavica, ancestrale, radicata soprattutto nel Belpaese.
Qualcuno potrà giustificare questa tendenza con il fatto che siamo mediterranei, un popolo focoso, votato alla discussione accesa e spesso alla rissa.
Sarà il caldo.
Mi sono soffermato più volte su di questo parallelo, senza procedere un granché, come spesso arrivano le illuminazioni, lo spunto è giunto inaspettato.
Giorni fa, sono stato ospite di uno stravagante e carismatico personaggio che, dopo una deliziosa cena cucinata con le sue mani, si è lasciato sfuggire alcune dichiarazioni e riflessioni sulla politica, argomento spesso bandito in occasioni di questo genere.
Ci ha raccontato dei dibattiti che ha osservato tra le persone, rabbiose come se si trattasse di fazioni calcistiche, delle discussioni che si accendono al supermercato, in posta, ce lo diceva con il cuore in mano.
Maurizio (questo è il suo nome) sostiene che non dovrebbe essere permesso di tifare una squadra di un’altra città, al massimo lui darebbe la concessione di sostenere la squadra della propria provincia.
Ma quella di un’altra città no.
Pure in politica dovrebbe essere così, ma naturalmente accade il contrario.
Ho osservato mestamente l’enormità della mia ignoranza riguardo la gestione del mio comune, soprattutto rimuginando sulla mia indignazione nei confronti degli scandali nazionali che riguardano politica e sport.
Così vicini, così lontani.
Uno sproposito di decisioni vengono prese a livello locale, sono decisioni che agiscono sull’immediato nella nostra vita, malgrado questo noi spostiamo il nostro interesse sul contratto telefonico agevolato per i parlamentari.
La “casta” sta diventando un business, uno specchietto per le allodole per occupare il nostro tempo in grovigli inestricabili.
Cominciano a guadagnare di più quelli che parlano di politica rispetto a chi la fa, accade già nell’architettura.
Da tempo gli appassionati di sport si ergono ad allenatore, propongono rose, cambi, formazioni e acquisti, oggi qualcuno lo fa osservando Montecitorio.
Mi è sorto persino il dubbio che tutto questo infervorarsi per la politica, questo attivismo da laptop sia un sistema per allontanarci, per farci dimenticare quanto è semplice cambiare la nostra società.
_____________________________
Ascoltando:
Pink Floyd, Meddle, 1971

martedì 28 giugno 2011

HERE COMES THE FLOOD

Secondo due indagini condotte nel  1999-2000 e nel 2004-2005, il venti percento della popolazione italiana non possiede gli strumenti di lettura, scrittura e calcolo minimi per potersi orientare all’interno della società contemporanea.
Addirittura cinque persone su cento tra i sedici e i sessantacinque anni, non riesce a distinguere lettere e numeri.
Questo è uno spaccato del nostro paese, con il quale ci dobbiamo confrontare quando utilizziamo il termine, sempre più spesso ripetuto, “gente”:
“La gente non capisce”;
“La gente deve assimilare”;
“La cultura media della gente”.
Specialmente nel periodo elettorale, a seconda di come si muovono i voti, la “gente” è, a seconda dei casi, elogiata, insultata o paragonata a burattini alla mercé della classe dirigente.
I leader e i candidati, a tutti i livelli, credono che un loro cenno possa spostare le croci sui simboli.
Le famose “indicazioni di voto”.
Certamente i mezzi di informazione e intrattenimento l’hanno fatta da padrona: durante gli ultimi vent’anni della storia del nostro paese, poche persone facoltose sono state in grado di spostare l’attenzione e alcune scelte della popolazione.
E’ solo recentemente, grazie alla frammentazione del palinsesto televisivo e la diffusione capillare di internet, che molte abitudini della popolazione italiana sono mutate.
Ciò che non è cambiato e non varierà in maniera repentina, sono i dati citati all’inizio.
Nessuno parla di questa piaga, ma l’alfabetizzazione di un paese è un indice importantissimo: sarebbe il primo passo verso la partecipazione reale alla democrazia.
La fase successiva, potrebbe essere quella di utilizzare concetti e termini semplici, per descrivere l’attività di un governo: riavvicinare la popolazione all’educazione civica.
Non dovrebbe essere necessario un laureato in economia per  capire una riforma economica oppure un progetto di privatizzazione della gestione dell’acqua.
Basterebbe semplificare il linguaggio sia di chi ci governa, che dei giornalisti.
La televisione, da mezzo formativo e di intrattenimento culturale, ha cominciato sempre più a guardare a quel venti percento di analfabeti, cercando di fare proseliti.
Nessuno può prendersi la libertà di criticare la “gente”, perché dovrebbe accorgersi che tra la “gente” c’è anche lui.
Io la figuro come un liquido in costante agitazione all’interno di un recipiente, un’onda di cui non è più possibile leggere la genesi, ma che è pronta a travolgere con la sua forza, qualsiasi cosa si frapponga tra lei e il suo obiettivo.
_____________________________
Ascoltando:
Robert Fripp, Exposure, 1979

martedì 7 giugno 2011

DREAMS

La campagna elettorale si è appena conclusa, lasciandomi l’amaro in bocca.
Forse mi ero aspettato troppo, i risultati sono stati infatti deludenti anche se, forse, una netta esclusione può rivelarsi meno dolorosa di uno scontato e sofferto ballottaggio.
E’ stata un’esperienza decisamente emozionante, gli stimoli non sono mai mancati, una autentica iniezione di adrenalina che ha attraversato il mio corpo come una scossa, donandomi forze e incentivi.
Questo anche se gli impegni si concentravano la sera, spesso dopo una dura giornata di lavoro.

Non ho vissuto questa esperienza come un sogno.

Ho già più volte scritto di aver vissuto la mia vita in modo irrazionale per troppi anni, adesso invece i sogni sono stati estratti dai cassetti e portati nei cassonetti.
Raccolta differenziata.
Le tappe salienti della mia vita, sino a ora le avevo saggiate adoperandomi in una serie di salti di qualità, azzardati o meno, privi di un allenamento metodico.
Senza misurare le forze.

Credevo che i sogni fossero l’unica speranza per immaginare un orizzonte nella nostra vita, scevra da ostacoli, muri, preconcetti: l’unico fuoco per disegnare una prospettiva.

Il sogno l’ho relegato a un “horror vacui”, un limbo nel quale si vaga anestetizzati, esibendo un mezzo sorriso sulle labbra.
Un miraggio che ci fa sperare nella lotteria, nel gratta e vinci, nella fortuna, nell’eredità, nella botta di culo di essere al posto giusto al momento giusto.

Io sono sempre al posto giusto al momento giusto, questo perché l’ho scelto personalmente, non le mille possibilità stocastiche.

Non è il mondo ad essere difficile, competitivo oppure colmo di ricatti e vizi, si presenta così a noi solo perché abbiamo il terrore di barattare i nostri sogni per la nostra vita.

Io ho scelto di non illudermi più, però non sono riuscito ancora a misurare le mie forze.
Sarebbe l’unico tassello che potrebbe sopprimere qualsiasi ipotetica delusione.
_____________________________
Ascoltando:
The Cranberries, Everybody Else Is Doing It, So Why Can't We?, 1993