domenica 10 maggio 2009

CROSSROADS

Periodicamente alcuni artisti raschiano il barile, altri fanno migliaia di passi indietro per ritrovare il proprio filo rosso.

L'unica cosa che mi domando è perché lo facciano pubblicamente e non lascino che questo sia semplicemente un cammino interno.

Poco male, il percorso di ritorno al blues delle origini di Eric Clapton, mi è servito per ragionare sull'immagine dell'artista in generale su come un'immagine ci influenzi.
In una performance del buon vecchio "Slowhand", la quale si è tenuta a porte chiuse, se non per le telecamere, le riprese ad un certo punto si sono spostate in un hotel in cui Robert Johnson avrebbe registrato gran parte della sua produzione musicale.

Robert Johnson, per chi non lo conoscesse, è un musicista blues degli anni '30, la cui vita aleggia nel mistero dei riti voodoo e di un fantomatico patto con il diavolo.

Di lui ci rimangono ventinove canzoni, due sole fotografie, due certificati di matrimonio e uno di morte.
Di lui ci rimane anche l’influenza su tutta la musica rock.

Una delle figure più importanti per la musica di tutti i tempi.

In un periodo, il nostro, dove la sovraesposizione mediatica di ogni fatto e di ogni personaggio pubblico è nauseante, comincio ad apprezzare sempre di più le figure storiche di questo tipo.

Per anni ci si è accaniti su Battisti e Mina e la loro scelta di sparire.
Per anni si è cercato di fotografare Syd Barret mentre andava a fare la spesa.

Porto il massimo rispetto per chi sceglie di celarsi, nascondersi dai riflettori e scegliere poche immagini da pubblicare.

Rigiro tra le mani la copertina del cd di Johnson e penso che lui sia questo, ha scelto questa immagine per farsi rappresentare, l’ha decisa e ci rimarrà per sempre.

Uno dei due momenti in cui il suo sguardo ha deciso di “incrociare” l’obiettivo di una macchina fotografica.

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Ascoltando:
Robert Johnson, King of The Delta Blues, 1997

mercoledì 22 aprile 2009

SUMMERTIME

Da piccolo trascorrevo parte delle vacanze in un paesino sperso tra le colline della pedemontana.
La sera ovviamente non uscivo, quindi la televisione e i libri erano i miei unici compagni.
Ricordo con chiarezza, che trasmettevano una trasmissione che si chiamava "I racconti del brivido", serie televisiva che non ho più rivisto.
Un episodio mi rimase particolarmente impresso, il tempo ha fatto il suo corso e i ricordi oggi sono abbastanza vaghi, inoltre non sono riuscito a reperire materiale in rete.
La sensazione che mi è rimasta sul palato è di un'amarissima claustrofobia.

In pratica era rappresentata una famiglia che viveva tranquillamente in casa, finché un giorno gli abitanti si rendevano conto di non poter uscire dalla propria abitazione, uno strano liquido cominciava a spandersi per casa e le pareti cominciavano a restringersi.
In breve accadevano fatti inspiegabili.

L'inquadratura alla fine dell'episodio era rivolta a una bambina che giocava con una casa per bambole.
Si scopriva così che in realtà la famiglia era costituita di pupazzi di plastica che semplicemente avevano acquisito il dono della ragione.

Era tutto finto.
Diventati esseri pensanti.
Il crollo di un sistema.

In questo periodo di sconvolgimenti economici, dove anche le superstar dell'economia si appendono al cappio e altre stanno preparando perfetti nodi scorsoi, penso che la società contemporanea forse non è mai stata pronta a recepire la verità.

A volte mi sento come un Ken che si è svegliato in una casa dalle pareti in una plastica troppo leggera, troppo sottili per isolarmi dalle urla di chi vive in condizioni disumane, in virtù del privilegio di pochi.

Spero solo che quella che sta arrivando non sia un'estate troppo calda da squagliare me e Barbie.

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Ascoltando:
Miles Davis, Porgy & Bess, 1958

giovedì 16 aprile 2009

POWER TO THE PEOPLE

I lettori affezionati del mio blog sapranno già che non amo guardare la televisione, a meno che non trasmettano un film particolarmente interessante.

Ultimamente tendo anche a non interessarmi riguardo la programmazione serale, preferisco uscire, stare in mezzo alla gente, oppure rinchiudermi in camera con un buon libro.
Perfino i telegiornali, mezzo che ho sempre utilizzato per disinformarmi, cominciano a diventare un rumore di fondo mentre sto mangiando.
Principio di autismo cosciente.

La radio diventa così l’unico mio contatto con il mondo, infatti il bunker dalle impenetrabili pareti che mi sono costruito attorno, è invalicabile anche per le persone, le informazioni che colgo “al bar” per me sono semplice folklore.

La sovraesposizione mediatica alla quale è sottoposta la regione dell’Abruzzo in questi giorni è evidentemente schifosa.
Riguardo a questo argomento è stato detto di tutto e di più.
Come al solito si è passati dal cordoglio all’unità nazionale, successivamente sono nate le prime polemiche sfociate nella consueta disputa politica, neanche fossimo allo stadio.

No, gli stadi non si sono fermati.

Stasera ho deciso di prendere parte a questo continuo urlare, a questo odio che porta le persone ad uccidere per un parcheggio rubato.
Mi sono piazzato sulla poltrona, in pigiama e mi sono guardato Anno Zero.
Varie figure si intervallavano, alcune più credibili, altre decisamente fuori luogo.
Ho provato a un certo punto a estraniarmi completamente, come se non conoscessi nessuno, come se non esistessero fazioni politiche, ma solo uomini e fatti.

Quello che ne ho evinto è l’immagine di un popolo, quello italiano con la “i” minuscola e non quello Aquilano, completamente sfiduciato nei confronti delle istituzioni.

Ci sentiamo impotenti di fronte a chi ci governa, come se “lo stato” fosse una piovra che succhia denaro e che si permette di fare ciò che vuole.

Oggi forse ho letto realmente qual’è lo scenario politico di Beppe Grillo, ciò che vorrebbe far fare a questo paese.
Non mi sento di appoggiarlo, ma non si può denigrare una persona che tenta di far capire al popolo che il potere è già nelle sue mani.

E’ coscienza civica.

Denunciare, indignarsi e cercare di fare chiarezza nella nostra quotidianità è un ottimo modo per far funzionare le cose.
Partire dal basso per nutrirci di una coscienza sociale.
Non ce la faccio più a sentire parlare di “lo stato”, “il governo”, “i parlamentari”.
Lo stato siamo noi, punto e basta.

Gli sprechi sono nostri, il cemento lo gettiamo noi, la spazzatura la gettiamo noi.

La democrazia la uccidiamo noi.

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Ascoltando:
John Lennon, The John Lennon Collection, 1982
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domenica 8 marzo 2009

NO PRESSURE OVER CAPPUCCINO

Certi album musicali, alcune canzoni entrano nella tua vita come il comparire di un'allergia: il giorno prima ne sei immune e tutt'un tratto invece non riesci più a farne a meno.

Così, questa volta, mentre l'asfalto correva sotto di me, il sottofondo era quello di Alanis Morissette.

E’ difficile ricordare quante volte mi sono commosso di fronte a una canzone.

Ancora una volta, dalle casse usciva un arrangiamento così perfetto, sembrava che i musicisti si muovessero all'interno di una stanza il cui pavimento era cosparso di gusci d'uovo.

Da certe sovrapposizioni di note, è chiaramente possibile capire che tutto è in un equilibrio, nel quale basta spostare un'inezia, perché tutto crolli.

Come in un castello di carte.

In una scultura di Calder, ogni elemento si regge grazie a un oggetto complementare, che lo equilibra.

Delicate azioni / reazioni, non onde d'urto.

Prendendo atto che al mondo possono esistere persone in grado di piangere ed innamorarsi ascoltando brani dei Rage Against The Machine e gli MC5, mi sono chiesto: perché nella maggior parte dei casi colleghiamo le emozioni a opere d'arte delicate?
Qual'è il motivo per il quale una tenue canzone di Jeff Buckley, una vellutata scultura di Canova, una lieve fotografia di Stieglitz si legano nella nostra mente a intensi momenti carichi di sentimento?

Forse per contrastare le emozioni, di per sé così forti.

L’amore non accetta un contraltare, al massimo una timida spalla.

Quello che non mi riesco a spiegare è la ragione per la quale siamo così attratti e affascinati dalla delicatezza, dall'instabile bilanciamento e dalla precarietà nell’arte, quando poi cerchiamo nella nostra vita di allontanarci quotidianamente da tali sensazioni.

Probabilmente in questa crisi, l’arte diverrà una forma di espressione solida e monolitica, uno sgraziato dinosauro microcefalo che si farà spazio nella precarietà.
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Ascoltando:
Alanis Morissette, Alanis Unplugged, 1999
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lunedì 2 marzo 2009

WE ARE THE PIGS

Sommessamente, mi ritrovo ad osservare il mondo da un oblò, con il risultato però di disinformarmi, come qui spesso denuncio.
La pulce che viveva nel mio orecchio, nell’ultimo periodo ha deciso di piantare famiglia e proliferare.

Da quando l'attuale governo si è insediato, non ho sentito parlare altro che di immigrazione, soprattutto in termini accusatori.
Non vivo pensando che chi siede in parlamento abbia anche il tempo di decidere cosa è meglio dire e cosa è meglio tacere, penso che però il servilismo dei giornalisti e dei direttori possa fare molto in questo senso.

Autocensura.

Giorno dopo giorno ho cominciato anch'io a nutrire sentimenti di odio nei confronti dei delinquenti che, senza permesso di soggiorno, brulicano nel nostro paese.

Iniziavo a pensare che era il momento di arrabbiarsi, di agire.

Per la prima volta ho voluto che venisse ripristinata la pena di morte.
Io.

Poi le idee hanno cominciato a sedimentarsi, le immagini ad essere elaborate, mi sono rilassato...un dubbio si è insinuato...sarà mica l'ennesimo esempio di disinformazione per coprire altre notizie?

L'Ansa batte centinaia di titoli ogni giorno, è compito del direttore di un giornale di selezionarli, così da informare nella maniera più ampia chi riceverà tali comunicati.

Invece ogni giorno tutti i telegiornali propongono le stesse immagini: romeni stupratori.
Giorni fa l'Istat ha deciso di ricordare i dati che ha raccolto inerenti le violenze sulle donne: quasi il 70% degli stupri avviene in famiglia, il 17,4 è ad opera di un conoscente e solo il 6,2 degli stupri denunciati sono commessi da sconosciuti.

Queste sono cose che tutti sappiamo, ma che i mezzi di informazione cercano di farci dimenticare.

Lo stupro per me è paragonabile al delitto, la vittima ne porta con se i segni per tutta la vita, quindi va punito con pene severissime, ma tutto questo parlare di accampamenti, di violenze è pura e semplice disinformazione fuorviante.

Dentro le mura delle nostre case accadono le peggiori angherie immaginabili e noi invece guardiamo la realtà dentro una scatola che vomita falsità.
Lo dicono i dati.

Noi, siamo i maiali.

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Ascoltando:
Suede, Dog Man Star, 1994
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