sabato 28 gennaio 2012

PICTURES OF YOU

Quando porto con me la macchina fotografica, raramente mi capita di tenerla a tracolla, come un giapponese in gita a Venezia.
Preparo le uscite, con pochi accorgimenti, la sera prima.
Mi ricordo di caricare la batteria, controllare che la scheda di memoria non sia piena, imposto la modalità di scatto e scelgo quali obiettivi mettere in borsa.
La scelta degli obiettivi è di vitale importanza, influirà in maniera pesante sull’uscita fotografica.
Ci sono alcune volte in cui passeggio e non trovo nulla di interessante, allora la mia macchina fotografica resta dentro il marsupio, ma è come se fotografassi con gli occhi.
Mi giro intorno, osservo accuratamente tutto, scruto lontano e poi torno alle cose a me vicine, in un continuo zoomare.
Sono giornate in cui sento che i miei piedi sono ben saldi a terra, ascolto il mondo e ne assaporo ogni sua particella.
Sono i giorni in cui vorrei essere parte di ogni muro, di ogni oggetto che incontro per strada, per sentirlo mio, per farmi raccontare la sua storia, per capire.
Non si può inquadrare tutto, la ripresa avviene attraverso un angolo di campo, più l’angolo è ampio e più ci sembrerà di essere dentro l’immagine, più è piccolo e più l’oggetto ci apparirà distante.
Ecco perché i teleobiettivi nonostante avvicinino gli oggetti ingrandendoli, in realtà ce li fanno apparire distanti, piatti.
Gli obiettivi macro invece permettono una visione ravvicinata del soggetto, riuscendo a mettere a fuoco cose molto vicine alla lente.
Questo continuo salto di scala, per capire cosa debba essere messo a fuoco, influisce sulla bontà di uno scatto più della conoscenza dei tempi di esposizione e altre menate.
E’ tanto importante il punto di vista quanto il punto di fuga.
Da circa un anno e mezzo ho deciso di fotografare con un obiettivo fisso che ha circa lo stesso angolo di visione dell’occhio umano.
Gli oggetti che voglio ritrarre li devo aggirare fisicamente, avvicinarmi, allontanarmi, in un lavorio che è ovviamente più impegnativo, in quanto il vincolo dell’ampiezza dello sguardo è un muro invalicabile.
Mi ritrovo così a non restare mai fermo, cerco il giusto punto di vista, regolo l’apertura del diaframma e pigio il pulsante.
CLICK!

La bravura è tradurre ciò che si ha in mente, in immagine.

Non è una questione di composizione, pesi e colori, ma capire qual é il soggetto che si sta guardando.
Capita tutti i giorni.
A volte non riesco a cogliere le scene che osservo nella loro interezza, proprio perché non le osservo con il giusto angolo di visione, troppo ampio o troppo ristretto.
Quotidianamente si è di fronte a un processo inverso a quello della fotografia: rielaborare immagini che qualcuno ha già composto per noi, saperle leggere è la discriminante che ci separa dalla consapevolezza.
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Ascoltando:
The Cure, Disintegration, 1989
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