mercoledì 15 luglio 2009

CARA


Grazie a un diverbio scoppiato in rete tra me e una mia amica, mi sono rimesso a ragionare sul tema del viaggio.

La partenza come necessità per spiccare il balzo.

Spesso sui mezzi di informazione si sente parlare di fuga di cervelli, di luminari che fuggono dall’Italia in cerca di un lavoro più decoroso.
Penso che per un ricercatore questo sia necessario, l’Italia in questo campo è un po’ il fanalino di coda.

Per quanto riguarda infinite altre professioni, ritengo che la rete globale abbia accorciato le distanze, tanto che essere a Voghera o New York sia quasi la stessa cosa.

Posso essere d’accordo sulla questione che rimanere nello stesso luogo, magari in un paesino di provincia, sia poco stimolante.
Ma il problema del poco stimolo è dentro noi, non nel luogo che ha invece stimolato generazioni intere.

Il piccolo Bastian leggeva il libro “La Storia Infinita” nella soffitta della sua scuola.
Con lo scorrere delle parole, delle pagine, a poco a poco gli si apriva un mondo nuovo, una storia completamente diversa dalle altre, in cui l’ultima pagina non significava la fine del sogno.

A volte mi sento come il piccolo personaggio principale di questa storia.

Fisicamente non ho mai viaggiato molto, anche se ho fatto molti chilometri guardando il mondo scorrere dai finestrini dai mezzi pubblici di questa megalopoli padana.

Data la mancanza di mezzi e di genuini stimoli per partire, ho sempre viaggiato molto con la mente.

Intere storie si aprivano nei libri che leggevo in spiaggia.
La strada del ritorno non era mai quella dell’andata.
Passeggiando per la stessa strada, dopo infinite volte, scovavo un dettaglio nuovo.
Tentavo di trovare nuovi colori e forme nel paesaggio che si proiettava dietro la finestra della mia camera.
Cercavo di conoscere gente nuova, angoli nuovi.

Sono giochi che faccio ancora.

A volte basta farsi uno sgambetto da soli, per osservare una cosa che era sotto il nostro naso da tempo.

Se è vero l’aforisma che ho trovato qualche giorno fa in rete “La felicità è una direzione e non un luogo”, non si parte per trovare qualcosa di nuovo.

Il tema è il viaggio e la meta.

Proseguendo nel ragionamento, la meta sarà felicità per poco tempo però, perché parte integrante del viaggio.
Appena diverrà “luogo” sorgeranno i problemi di prima.

Allora servirà un nuovo viaggio e una nuova meta.
Nuovi viaggi e nuove mete.

L’aforisma non specifica quale sia la direzione della felicità, ma semplicemente il fatto che andare in una direzione significhi essere felici.

Il mio è un viaggio continuo.

...ma so già cosa pensi, tu vorresti partire
come se andare lontano fosse uguale a morire...

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Ascoltando:
Lucio Dalla, Dalla, 1980

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