La prima è Poffabro, un borgo in provincia di Pordenone popolato da neanche duecento anime.
Nonostante la dimensione microscopica, grazie alla sua architettura vernacolare e spontanea, Poffabro viene visitata ogni fine settimana da molti turisti.
Passeggiando per le viuzze tentacolari che si sviluppano tra le abitazioni, si può percepire che la divisione tra il privato e il pubblico si fonde in un unico spazio comune, comunitario, spezzato da splendide e materiche facciate.
Forme pure stagliate nella roccia e nel legno.
La seconda località è stata Forni di Sopra, situata ben più in alto, ad una quota di quasi mille metri.
L’attinenza che ho trovato con Poffabro è la cura con cui hanno ricostruito, ristrutturato e ricucito un borgo con grande logicità e continuità storica.
Certo, non si può nascondere che qualche esempio di costruzione ignara del luogo e del contesto può essere individuata in entrambi i paesi, ma sono eccezioni sporadiche che non fanno altro che confermare la regola.
Le abitazioni sono realizzate con pochi elementi, riconoscibili.
Mi piace pensare che, come nell’architettura classica, oggi questi contemporanei progettisti si muovano tra dei paletti fissati dalle amministrazioni locali / regionali.
Con pochi elementi stabiliti si possono attuare delle modifiche all’interno dei canoni.
Nei casi qui sopra citati, il risultato ottenuto è un organismo gradevole, coerente e mai banale.
Queste sono le caratteristiche dell’architettura italiana, maggiormente apprezzate da noi stessi e dai turisti che ogni anno contribuiscono alla nostra economia.
Mi piacerebbe pensare a una nazione, la nostra, che si muove in questo senso.
Ponendo delle forti limitazioni formali ed estetiche nell’architettura non solo dei centri storici, potremmo ritrovare il filo rosso dell’arte classica, di cui siamo figli.
In un periodo incerto sotto tutti i punti di vista come quello attuale, a mio avviso sarebbe opportuno lasciarci alle spalle la visione romantica dell’arte come invenzione e tornare all’interpretazione dell’arte come artigianato.
Nella mia professione mi ritrovo ogni giorno a leggere norme che spiegano soprattutto come effettuare il calcolo dei metri cubi di un edificio, come sempre sono disposizioni partorite dopo un eccessivo e deregolamentato utilizzo del nostro territorio.
Sembra che l’abilità del professionista oggi stia nell'interpretare furbescamente tali norme per progettare al linite dei vincoli, allo stesso modo di un elefante che si muove in un negozio di lampadari.
Oggi il problema è diverso, le brutture del nostro paese sono sì frutto delle dimensioni sproporzionate dei mostri che infestano il nostro paese, ma anche di edifici decontestualizzati e deregolamentati.
Oggi mi piacerebbe cominciare a leggere che c’è qualcuno che decide per noi cos’è giusto e cos’è sbagliato.
Noi non siamo più in grado di farlo.
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Ascoltando:
Davis Sylvian, Brilliant Trees, 1984
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