Da quando ho deciso di non utilizzare più i canonici mezzi di informazione, se non sporadicamente, i miei unici contatti con il mondo sono: la mia piccola realtà quotidiana, degli sprazzi di telegiornale che colgo in pausa pranzo mentre mangio e i rotocalchi di gossip che girano nel bagno di casa mia.
Il pretesto per immortalare i miei “pensieri lasciati a macerare”, questa volta è nato leggendo a riguardo dei concorrenti del Grande Fratello in corso.
Ci viene comunicato che la maggior parte di questi attori incorpora un background ricco di partecipazioni, di comparsate in televisione, insomma non sono proprio dei perfetti sconosciuti.
Anche se la loro è una pessima recitazione, vi leggo la stessa determinazione di chi, con coraggio oppure ignoranza (l’una non esclude l’atra) intraprende un cammino verso un’unica direzione.
Giorno dopo giorno, cercano di entrare nella magnifica scatola piena di luci e immagini, che ci intrattiene con programmi sempre meno eleganti e freschi.
Cercano di entrarvi per l’uscita di sicurezza, in barba a immaginari buttafuori, che si distraggono un attimo.
Questi “backdoor men” entrano dalla porta sul retro mentre di fronte vi è una lunga fila di persone che ogni giorno si preparano, studiano, investendo in se stessi.
Non so se la moneta per diventare famosi, avere il quarto d’ora warholiano, sia ancora il sesso come anni fa.
Magari è con il presenzialismo oggi, insistendo, che si ottengono i risultati.
Un po’ come accade in politica o nelle gestioni statati, esempi similari di sistemi nei quali non puoi essere estromesso, semplicemente vieni traslato.
Così è in televisione, se hai il seno troppo grosso per fare la velina, ti propongono per partecipare al padre dei reality.
Non potrò mai nascondere quel pizzico di invidia che ha pervaso l’inizio dell’età adulta, quando ho cominciato a comprendere che molto del mio tempo lo avevo gettato in divertimenti, passioni, mentre persone anche vicine a me si stavano incamminando verso la loro strada.
Forse ho capito tardi qual’era la mia strada, così ho percorso una quantità indescrivibile di chilometri zigzagando in distrazioni, hobbies, relazioni più o meno importanti.
Sempre con la paura che se avessi intrapreso una strada non avrei mai più potuto tornare indietro.
A volte, guardando soprattutto gli esempi che ci propone la televisione, penso che basterebbe anche solo quella cieca determinazione per arrivare ovunque.
A volte considero che la marcia in più o il talento puoi anche non averlo, basta arrivare nella sala dei bottoni, quando vi giungerai saprai probabilmente cosa schiacciare.
A volte penso che se questi dubbi li ho io che ho più di trent’anni, non oso pensare i bambini, gli adolescenti, nei quali i rapporti interpersonali sono ormai avvizziti.
Guardando dentro la televisione magari penseranno che quello che accade all’interno sia vero.
Come i primi spettatori che videro il film dei fratelli Lumière.
Anche se era ferrata, era una strada no?
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Ascoltando:
Portishead, Dummy, 1994
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