La visione questa sera del film "Woodstock" (ho sinceramente perso il conto delle volte), mi ha fatto riflettere al modo di fruire la musica live oggi.
A parte i concetti di uso indiscriminato di droghe, più o meno leggere, la condivisione di tutto e la libertà, mi ha colpito l’esecuzione.
Gli artisti che si esibivano sul palco erano semplicemente veicolo di emozioni, il significato di esecuzione perfetta era lontano anni luce.
Richie Havens è arrivato sul palco con la sua chitarra logora dal suo suonare "a braccio", istintivo e poco attento alla quintessenza.
Il pubblico non si aspettava minimamente la compiuta corrispondenza dei brani contenuti negli album, semplicemente attendeva l’artista e la trasmissione di vibrazioni, qualsiasi fosse il ri-arrangiamento, la revisione, lo stravolgimento del pezzo.
Era un periodo in cui si vendevano molti album, 33 e 45 giri, il musicista poteva permettersi tranquillamente anche di non uscire dallo studio.
L’esibizione live era una scelta, non una necessità.
Ultimamente assisto sempre di più a esibizioni iperprodotte, ricche di basi DAT e sequencer che colmano lacune acustiche.
Un continuo rincorrere l’impossibile.
I Queen, gruppo peraltro che non amo, si esibirono a Wembley semplicemente in quattro.
Erano notoriamente conosciuti per le maniacali sovraincisioni presenti negli album, resero però giustizia ai brani, interpretandoli live da soli.
Un concetto di "vivo" oramai perso.
Figli di musica pretesa oramai come gratuita, ci subiamo concerti stucchevoli e distanti.
Unico sostentamento, di artisti irreali.
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Ascoltando:
AA.VV., Woodstock, 1970
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