La domanda di questi giorni è: fino a quando ha ancora senso sognare?
Il dubbio mi attanagliava da tempo, ma si è materializzato domenica di fronte alla televisione.
Osservo veramente poco il piccolo schermo, in particolare durante i fine settimana, ma attendendo M. che si stava preparando ad uscire, sinceramente non sapevo cosa fare.
(ti fai sempre attendere così tanto, ma l'aspettativa non delude mai, piccola)
Nel minestrone domenicale, condotto dalla simpatica presentatrice con le labbra come due canotti (anzi, due canottieri), tra l'ex calciatore ex signor V. ex tutto e tetteculitricchetracchebumbottisaette, compare il signor X uscito da non so quale casa di qualche Grande Fratello.
(povero George Orwell, l'avrai consumata quella bara a forza di rigirarti).
Con aria delusa, teneva a precisare che il mondo dello spettacolo non è tutto rose e fiorelli, bensì un apparato digerente, che quando ha finito di masticarti e digerirti, è già tanto se tira l'acqua.
Bene Bbbbbruno, probabilmente ti sei svegliato ora, mi dispiace solo che tu lo abbia fatto a quarant'anni.
Oggi io, a trent'anni, con i miei piccoli sogni, mi sto chiedendo quanto ho ancora per sognare, per rincorrere i miei cassetti.
Mi sono tuffato dappertutto, nella musica da adolescente, nella pittura, nella scultura, nella fotografia, nell'architettura, nella scrittura.
Sempre con foga e olio di gomito.
Non è semplice capire se hai delle possibilità, se hai talento, se le porte che ti si aprono davanti, ti portano in alto, o in realtà sono quelle di cessi puzzolenti.
Quand'è che ha senso smettere di inseguire i sogni e iniziare ad accontentarsi semplicemente di sognare?
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Quando i poeti sognarono angeli,
Che cosa videro?
La storia schierata in un lampo, alle loro spalle.
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Ascoltando:
David Sylvian, Secrets of the beehive, 1987
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