Nell'ultima settimana, dopo Michele Santoro, anche una giornalista del primo canale RAI ha deciso di ritagliarsi un po' di dignità nella sua carriera.
Come al solito chi da casa si cerca di informare, riesce anche a seguire il filo logico dei suddetti avvenimenti, invece chi si limita a fagocitare passivamente tutto ciò che passa al convento, non si accorgerà neppure della mancanza.
La televisione lentamente muore, anche grazie a scelte difficili di paladini come questi.
Per la prima volta finalmente riesco a cogliere il declino di questo fantastico mezzo che aveva innumerevoli potenzialità, ma che ha deciso di piegarsi alle logiche del mondo reale.
Un scatola piena di colori e suoni, che mi incantava da piccolo facendomi sognare.
Per un ragazzino come me di quartiere, che aveva un minuscolo francobollo di erba per giocare a calcio, la televisione era un ottimo diversivo nelle giornate di avverse condizioni atmosferiche.
Premendo il gigantesco pulsante rosso, fuoriuscivano robot, città post nucleari, lottatori assetati di sangue e supermaxieroi.
Il Cavaliere acquistava pacchetti mediatici ancora con il fiocco sopra, incurante del loro contenuto e del rispettivo ritorno economico, tutto era nuovo e avrebbe fatto odiens.
Soprattutto costava poco.
Lentamente il "payback" ha aggredito tutto nella società contemporanea, erodendo causticamente anche il tubo catodico.
Ma la massimizzazione del fatturato non basta, è necessario filtrare le informazioni, omologare le trasmissioni per omologare il pubblico.
Se ne rischierebbe il risveglio.
Trasmissioni dall'alto guadagno come Annozero hanno così cominciato a tremare, fino alla chiusura annunciata pochi giorni fa.
La televisione è vecchia e serve per cullare il sonno di chi non vuole svegliarsi.
Caro schermo scintillante pieno di nani, fate, maghi e pianure immacolate, ho mandato in tintoria il mio miglior abito.
Sono certo che vivrò abbastanza per partecipare al tuo funerale, sarò elegantissimo per farti onore.
Ti accenderò solo per vedere brevemente il monoscopio.
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Ascoltando:
Wire, 154, 1979